domenica 5 ottobre 2014

La Battaglia di Lepanto 443 anni dopo

Lepanto: Auxilium christianorum 7 ottobre 1571

 
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Lo Stato Islamico continua nella brutalità delle decapitazioni di innocenti cittadini occidentali. Le televisioni ci mostrano, ormai quotidianamente, quanto sono barbari e ributtanti questi assassini allevati e nutriti anche nelle nostre città’ all’ombra di un miope buonismo nel quale si confonde la carità, con una solidarietà che ne è oggi la caricatura e spesso alibi per chi è disposto a sacrificare la propria civiltà per un egoistico bisogno di apparir buono a sé stesso. Ci chiediamo in questi giorni, dove sono finite le bandiere della pace agitate strumentalmente a fini politici interni dai catto comunisti che non leggono la storia e che sono poi costretti a imbarazzanti giravolte come quelle cui assistiamo in questi tempi di ripresa e recrudescenza del terrore islamico organizzato in uno Stato in guerra con la cristianità e l’Occidente. Chi come noi non dimentica mai di ricordare, soprattutto a partire dal 2001, l’anniversario della Battaglia di Lepanto, ha in questo 2014 molti motivi in più per farlo,  che sono l’accresciuta preoccupazione per il pericolo prepotente ed aggressivo della violenza  terroristica del fondamentalismo islamico dei tagliagole e la persecuzione dei cristiani .
Infatti Lepanto fu una grande vittorie dell’Occidente, una vittoria della Cristianità. Una vittoria contro un mondo di volta in volta arabo, musulmano, islamico ferocemente aggressivo. A Lepanto e poi a Vienna, l’Europa difendeva il suo modello di civiltà, ma difendeva anche, le sue chiese e le sue istituzioni. Di fronte all’aggressione del fondamentalismo islamico, prima di Al Queida e Bin Laden ed oggi dell’Isis, la nuova flotta islamica, gran parte dell’Occidente deve ritrovare l’orgoglio di appartenere ad un mondo libero
Dopo la vittoria di Lepanto, avvenuta proprio nella prima domenica di ottobre (7 ottobre 1571) che già da tempo costituiva il giorno di raduno e di preghiera delle confraternite del Rosario, san Pio V  decretò che ogni prima domenica di ottobre si sarebbe dovuta commemorare con rito semplice Nostra Signora della Vittoria. Attualmente il 7 ottobre si celebra una memoria semplice intitolata alla Beata Maria Vergine del Rosario. Nelle litanie lauretane Maria è invocata come Auxilium christianorum a partire dalla vittoria di Lepanto. Certamente, la vittoria era stata ottenuta grazie a la intelligentissima prudentia de i nostri generali, la bravura e destrezza de i capitani in mandare ad effetto, il valore de’ gentiluomini e soldati nell’essequire. Ma, più ancora, a ben altre forze, secondo la bella espressione del senato veneto: Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit, (non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori). Del resto, la vittoria di Lepanto era avvenuta nel giorno in cui le confraternite del Rosario facevano tradizionalmente particolari devozioni.
All’alba del 7 ottobre 1571, esattamente quattrocentoquarantatre anni orsono, aveva inizio, nelle acque di Lepanto, porto della costa ionica, situato di fronte al Peloponneso e non distante da Corfù, una delle più grandi battaglie navali della storia, frutto glorioso degli sforzi della Cristianità.
La guerra era stata dichiarata a Venezia dai Turchi all’inizio dell’anno precedente, ma all’intimazione di abbandonare Cipro, la Serenissima aveva risposto con un netto rifiuto. La resistenza veneziana, sotto il comando di Nicolò Dandolo, fu tenace, ma non fu possibile evitare lo sbarco e, nonostante le fortificazioni di Nicosia, ancora oggi visibili, fossero appena state innalzate, e la lunga ed eroica difesa sostenuta, la città fu presa il 9 settembre 1570. Le navi cristiane si riunirono a Messina. Erano 208 galere, vale a dire vascelli a remi e a vela armati con artiglieria pesante. Il grosso della flotta era costituito dalla squadra veneziana: 105 vascelli; quindi la squadra di Filippo II Re di Spagna, comandata da Gian Andrea Doria, con 81 navi di cui 14 spagnole; la squadra pontificia schierava 12 navi. Tre navi erano genovesi, tre dei Cavalieri di Malta e tre addirittura del Ducato di Savoia. Comandante generale era Don Giovanni d’Austria, fratello del Re di Spagna. Anche ai tempi di Lepanto, anno 1571, la pace era un sentimento condiviso da tutti, Però nessuno era pacifista. Ovvero l’umanità aspirava alla pace essendo consapevole che in certi casi la guerra non solo risulta ineluttabile, ma spesso necessaria, auspicabile addirittura. Allora, poi, nessuno che appartenesse al mondo occidentale cristiano avrebbe parteggiato per un Alì Muedhdhin Zadeh Pascia, l’ammiraglio della flotta ottomana o per un Mehmed Alì che guidò la presa di Otranto o per il Feroce Saladino. Affinché Don Giovanni D’Austria, Marcantonio Colonna, Gian Andrea Doria cogliessero la vittoria si pregava nelle case e nelle chiese. Non c’era chi manifestasse contro di loro nelle piazze, chi giudicasse quella guerra ingiusta, chi invocasse il dialogo con gli ottomani. Perché gli ottomani, gli islamici, erano il nemico. Nemico individuale e nemico di una civiltà, di una cultura, di una fede che era la civiltà, la cultura e la fede dell’Occidente. Nemico aggressivo, che non aveva il bisogno d’esser provocato per manifestare la sua inimicizia. Tutto ciò che non è Islam -«Dar al Islam»- è per l’Islam e per gli islamici «Dar al Harb», luogo della guerra. Se l’Occidente non avesse coltivato la «virtude» di opporsi loro anche con le armi, soprattutto con le armi, probabilmente San Pietro sarebbe una moschea e il campanile di San Marco un minareto da dove il muezzin esorta a pregare Allah. Lepanto si limitò a far tirare il fiato alla cristianità e a momentaneamente ripulire il Mediterraneo dagli sciami di vascelli islamici che lo infestavano. Ma a Kalhenberg, nei pressi di Vienna, poco più di un secolo dopo l’Occidente arrestò e per sempre la travolgente corsa in avanti dell’Islam. Se i viennesi non avessero retto all’assedio, se Innocenzo XI avesse predicato la pace invece di promuovere la coalizione cristiana, se il 2 settembre del 1683 i 65mila del polacco Giovanni Sobieski non avessero travolto i 200 mila ottomani di Kara Mustafà, Vienna sarebbe caduta e con Vienna, la nostra civiltà perché nulla avrebbe più potuto fermare la progressiva islamizzazione del continente.
Dovremmo oggi dopo le ricorrenti stragi di donne, bambini e preti cristiani, dopo gli omicidi e le efferatezze dell’Isis, rammaricarci che per impedire tutto ciò si combatta una guerra? C’è forse qualcuno che ritiene che Papa Odescalchi invece di incrociare le armi avrebbe dovuto dialogare con Maometto V? O aprire un tavolo? Sobieski o Eugenio di Savoia avrebbero dovuto guidare una missione umanitaria piuttosto che attaccare gli assedianti? Magari attenendosi pedantemente alle regole di ingaggio, tanto di moda durante la guerra dell’Iraq? Ma soprattutto, crediamo davvero che il dialogo, i tavoli, la predicazione della pace, le missioni umanitarie avrebbero fermato la spinta espansionista dell’Islam, la sua guerra non a caso definita santa?
 
Rodolfo Ridolfi